Il 14 luglio 1988, discutendo
presso l’Università di Milano, la tesi sperimentale “Possibilità e limiti
dell’apprendimento della lettoscrittura nella sindrome di Down”, concludevo
formalmente il percorso di specializzazione in Foniatria. Ero già specialista in
Otorinolaringoiatria, ma questo ulteriore titolo mi stimolava di più, mi
lasciava intravedere la possibilità di scoprire e aprire nuovi orizzonti
professionali, soprattutto nella riabilitazione, ma anche nella cultura e
nell’arte.
Cominciai a lavorare su tutte
le patologie della comunicazione, legandomi particolarmente alla voce artistica
(ero sempre attratto dall’idea di unire arte e cultura con la scienza medica),
e all’autismo infantile, patologia di cui compresi subito il grande incremento verso
cui andava incontro.
In trent’anni ho studiato
ancora, direi sempre, ho diagnosticato, curato, verificato, rimesso
continuamente in discussione risultati, successi e insuccessi; ho formato
centinaia e centinaia di terapisti della riabilitazione, cantanti, allievi e
maestri di canto, attori, artisti vari.
In una visione positiva, sento
di ringraziare chi ha creduto in me, nel mio impegno, nella mia abnegazione,
nella mia -a volte sgradevole- sincerità e chiarezza.
Ringrazio chi mi ha aiutato,
nel lavoro come nella vita, soprattutto con critiche piuttosto che con elogi.
Ringrazio i miei cantanti, i miei artisti, che hanno avuto (non tutti, però) il
coraggio e la capacità di esprimere la loro gratitudine, affermando
pubblicamente che i loro miglioramenti, i loro recuperi, le loro guarigioni,
erano da collegarsi al mio intervento; e l’hanno fatto spontaneamente, senza
che io lo chiedessi per trovare pubblicità attraverso le loro dichiarazioni lette
da tanti fans.
Ringrazio le famiglie dei
bambini autistici, molti dei quali oggi non più autistici, che mi hanno aiutato
ad aiutarli, che mi hanno consentito di verificare sui loro figli, che tante
idee e iniziative che avevo, avrebbero portato frutti anche brillanti; ma avevo
bisogno della loro incondizionata fiducia -quasi un atto di fede- per poter
agire con le mani libere e la possibilità di sbagliare o agire bene, ma da solo
e senza interferenze. E ringrazio quanti di loro sono diventati testimoni della
validità del mio tipo di approccio, non per me stesso, ma perché le loro
dichiarazioni pubbliche di buona riuscita del mio lavoro, sono servite come
stimolo e iniezione di fiducia ad altre famiglie trovatesi improvvisamente
nella disperazione derivante da una diagnosi di autismo.
Ringrazio i miei allievi ed ex
allievi che hanno messo in pratica i miei insegnamenti, e che hanno
testimoniato con i fatti, la validità di quanto ho cercato di trasmettere, mettendoci
sempre entusiasmo, abnegazione e anche affetto, vedendo in ciascuno di loro una
parte viva di me.
Di contro, mi sento in
diritto-dovere di reclamare o semplicemente raccontare qualcosa di altro, di
segno opposto.
In questi trent’anni di
Foniatria, ho provato spesso l’amaro sapore del tradimento, dell’ingratitudine.
Non ho mai voluto sentirmi dire “grazie”, ho sempre rifuggito gli elogi; ma ciò
non vuol dire che non abbia notato con disgusto l’esistenza di tanti
voltafaccia, di tante negazioni di ciò che di buono era stato ottenuto seguendo
i miei insegnamenti. Disgusto per quanti, dopo aver appreso e preso tanto da
me, sono andati via (e fin qui non c’è nulla di male, ma…) approdando altrove a
criticare e rinnegare il mio operato.
Disgusto per quanti, dopo aver
richiesto e cercato di capire il mio modo di lavorare, lo hanno respinto
criticandolo, attaccandolo senza neanche conoscerlo fino in fondo, solo perché,
evidentemente, risultava loro scomodo, troppo impegnativo e troppo faticoso.
Delusione pensando a quei
pazienti, a quelle famiglie, che ancora prima di comprendere fino in fondo che
cosa io proponessi, mi hanno criticato e attaccato “a priori”, senza neppure
sapere davvero chi fossi o che cosa proponessi.
Disgusto per tanta mediocrità,
che è la madre di tutti gli insuccessi; mediocrità che impedisce di mettersi in
discussione; mediocrità che porta a criticare gli altri piuttosto che se stessi,
i propri limiti, le proprie incapacità.
Se sono ancora in piena
attività di studio, ricerca, diagnostica, terapia, confronto, didattica…, è
perché credo ancora in questo lavoro; è perché tra tanta mediocrità, invidia,
ignoranza, meschinità, malafede, c’è ancora chi mi fornisce le motivazioni, gli
stimoli, la percezione di una necessità di operare senza fermarmi.
Brindo virtualmente ai miei
primi trent’anni di foniatria, meravigliosa disciplina medica e culturale,
ancora nota a pochi, ancora non compresa da tutti, ancora sottovalutata e non
adeguatamente utilizzata da tanti.