lunedì 9 maggio 2016

La logopedia che non vorrei più vedere

La logopedia che non vorrei più vedere è quella che tratta i disturbi della voce utilizzando ancora candele sulle cui fiammelle far soffiare il malcapitato cantante o semplicemente il soggetto con raucedine, aumentando così solamente la costrizione a valle dello sforzo laringeo, ignorando che si tratta di sistemi obsoleti e sconfessati dall’esperienza di chi veramente sa come si approcciano le disfonie.
La logopedia che non vorrei più vedere è quella che innesca tensioni muscolari anziché opportuni interventi rilassanti e muscolarmente armonizzanti nei professionisti della voce.
La logopedia che non vorrei più vedere è quella che utilizza ancora sacchetti di sabbia, voluminosi libri, o pesi di ogni genere, per appesantire l’addome del malcapitato cantante o allievo che sia, imponendogli faticose escursioni inspiratorie ed espiratorie, ignorando che questi sistemi ormai obsoleti, sono stati superati da modelli di intervento più leggeri e dinamici.
La logopedia che non vorrei più vedere è quella che critica i trainers vocali bravi, proponendosi, di contro, con arroganza, supponenza e ignoranza, provocando più danni che benefìci ai cantanti sui quali vuol mettere mano senza competenze né musicali né di altre tecniche utili a questo tipo di lavoro.
La logopedia che non vorrei più vedere è quella che si veste di presunzione, che si arrocca su convinzioni più teoriche che pratiche, o si fossilizza su modalità operative rimaste in un passato superato, ma ancora vissuto da chi, con ignoranza, indolenza e supponenza, ignora tutto ciò che di nuovo e di valido sia stato scoperto e già da tempo utilizzato con successo. 

  
 
 

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